giovedì 5 giugno 2008

La morte asciutta

La lenta agonia di un uomo a cui viene diagnosticato un cancro mortale. E un figlio che, pur standogli accanto, ha perso la capacità di piangere. Niente sentimentalismi, solo un lucido e freddo distacco, scopre in sé il protagonista con impotente strazio nel racconto che apre questa raccolta. Al centro del secondo c’è uno strazio analogo, provato durante le visite domenicali ai genitori, quando l’aria è satura d’un amore informe e ingombrante, che si incanala in una malinconica e quasi insostenibile tenerezza.
Scritti nel 1954, questi due racconti, mirabili nella loro raffinatezza e perfezione, avrebbero dovuto essere il nucleo di un romanzo, dalla storia apertamente autobiografica, che non vide mai la luce. Quando, nel 1989, a Broyard viene diagnosticato lo stesso cancro del padre è come se quella storia si compisse: risoluto a farsi trovar vivo dalla morte, in un piccolo saggio, che costituisce una sorta di capitolo conclusivo, l’autore medita sul proprio male con serenità, comicità, euforia.

"Non sappiamo fino in fondo di essere malati finché non ce lo dice il medico. E quando ce lo dice, non è come se ci desse il permesso di esserlo. Noi ci campiamo sulla nostra malattia. E tuttavia resteremo sempre dei dilettanti. Solo noi l'ameremo. Sapere che siamo malati è una delle esperienze fondamentali della vita. Ci aspettiamo di andare avanti per sempre, di essere immortali."

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